Non concupire: Il decimo comandamento

Cosa significa il comandamento “non concupire”? A volte, può esserci confusione sul significato di questo comandamento. Alcuni hanno frainteso questo comandamento nel senso che è sbagliato desiderare o bramare qualcosa. Per esempio, secondo il Nuovo Devoto-Oli, il vocabolario dell’italiano contemporaneo, la parola italiana “concupire” significa: “desiderare ardentemente, bramare, per lo più riferito all’ambito sessuale (oggi quasi solamente in tono ironico o scherzoso)”. Questo può essere il modo in cui la parola è usata oggi nella cultura italiana moderna, ma non è di questo che parla il decimo comandamento. Primo di tutto, nel senso biblico, il verbo “concupire” non si riferisce per lo più all’ambito sessuale. Notate che Dio comandò gli Israeliti «non concupire la casa del tuo prossimo…né cosa alcuna del tuo prossimo». Queste non hanno un riferimento sessuale. In altre parole, il riferimento della parola “concupire” è molto più ampio dell’ambito sessuale.

In secondo luogo, il decimo comandamento non significa che non possiamo bramare o desiderare ardentemente qualcosa. La Scrittura non spinge alla passività (come nel buddismo) o alla mancanza di proposito nella vita. Sono desideri sani volere un buon lavoro, una migliore condizione di vita, ecc. Inoltre, non è un peccato quando tu vai al centro commerciale e vedi un paio di scarpe che ti piacciono. Ripeto: il decimo comandamento non vieta ogni desiderio, poiché i desideri non hanno sempre un senso negativo o peccaminoso. Anzi, Dio ci comanda di portargli i nostri desideri e pregare per i nostri bisogni: «dacci oggi il nostro pane quotidiano». Egli ci esorta: «in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamento» (Filippesi 4:6). 

  Quindi, cosa significa il comandamento “non concupire”? Allora, questo comandamento ha a che fare con due cose: l’invidia e l’appagamento, cioè l’invidia verso il prossimo e l’appagamento in Dio. Dobbiamo pensare a queste due cose per capire la volontà di Dio per la nostra vita nel decimo comandamento.

L’invidia
Nel primo luogo, questo comandamento parla dell’invidia verso il prossimo. Notate che Dio comandò gli Israeliti: «Non concupire la casa del tuo prossimo; non concupire la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo». Come nazione santa in patto con Dio, Israele doveva riflettere la santità di Dio con il loro amore reciproco e non con l’invidia. Dio ci ha chiamati ad amare il nostro prossimo, non a invidiarlo. «L’amore non invidia», dice Paolo in 1 Cor 13. L’invidia, invece, è una forma di odio. È un’opera della carne, come Paolo dice in Galati 5: «Ora le opere della carne sono manifeste, e sono: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie». L’invidia è una brutta cosa! Con l’invidia, non possiamo amare senza ipocrisia; non possiamo rallegrarci con chi è allego e piangere con chi piange. L’invidia è un sentimento distruttivo sia mentalmente che fisicamente. Prendendo gli altri come metro di misura, l’invidioso non è contento per gli altri quando loro hanno successo o riescono a godere di qualcosa di cui lui o lei non può godere. Invece, l’invidioso vuole che loro soffrano allo stesso modo di lui o lei. In realtà, l’invidia è la postura emotiva più comune ogni qualvolta ci troviamo a esprimere giudizi e valutazioni sugli altri. Il problema è che l’invidia uccide la nostra contentezza. Ci fa sentire risentiti, irritabili, arrabbiati e persino depressi.

Ecco perché nell’inferno Dantesco, l’invidioso si ritrova con gli occhi cuciti, effetto del malocchio che si ritorce contro di lui. La condizione dell’invidioso è infatti tale da indurre in lui la condizione di sofferenza che vorrebbe vedere nell’altro. L’invidia è una brutta cosa. Come il proverbio dice: «Un cuore calmo è la vita del corpo, ma l’invidia è la carie delle ossa» (Pv 14:30). L’invidia è particolarmente pericolosa per il credente poiché distrugge la nostra contentezza e gratitudine.  Questo ci porta all’altra cosa a cui si rivolge questo comandamento: l’appagamento.

L’appagamento
Con il decimo comandamento, il Signore voleva insegnare al Suo popolo a trovare in Lui il proprio appagamento. Come sapete, la storia d’Israele nel deserto è una storia di scontentezza. Questo popolo era stato liberato dalla schiavitù d’Egitto, eppure continuava a mormorare e a lamentarsi di fronte a Dio concupendo ciò che aveva lasciato in Egitto invece che rallegrarsi di ciò che aveva ricevuto dal proprio Redentore. Dio ha fornito loro manna e acqua nel deserto. Li proteggeva e li curava, come un pastore cura le sue pecore. Essi, tuttavia, avevano cuori amari e pieni di invidia e scontentezza. Molte volte il popolo voleva mettere Dio sotto processo.

Però, la storia d’Israele, in un certo senso, è la nostra storia. Tutti noi siamo come gli Israeliti in un certo senso, pronti a mormorare di tutto ciò che è sbagliato della nostra vita, e lenti ad apprezzare la bontà e la misericordia di Dio. Tutti noi abbiamo la tendenza peccaminosa a essere invidiosi degli altri e a cercare la nostra contentezza in qualcosa di diverso da Dio. In questo senso, il decimo comandamento chiude il cerchio della volontà di Dio per le nostre vite. Vi ricordate che il primo comandamento, cioè «Non avere altri dèi oltre a me», ci pone la domanda fondamentale: Qual è la cosa a cui tu guardi più di ogni altra cosa per il tuo senso di identità, significato, gioia, speranza e sicurezza?  In realtà, tuttavia, il decimo comandamento ci pone la stessa domanda: “Qual è la cosa a cui io guardo più di ogni altra cosa per il mio senso di identità, significato, gioia, speranza e sicurezza? Cosa credo che mi renderà veramente contento? Cosa deve succedere affinché io sia contento?” In realtà, qualsiasi cosa a cui guardiamo più di quanto guardiamo a Dio per il nostro senso di identità, significato, gioia, speranza, sicurezza e contentezza è per definizione il nostro dio!

Ecco perché Giovanni Calvino disse «per mezzo del decimo comandamento, è come se il Signore stesse mettendo il laccio al collo di tutti quei nostri desideri che superano i limiti imposti dall’amore per gli altri. Tutti gli altri comandamenti proibiscono le azioni che vanno contro alla regola dell’amore, ma questo proibisce persino di concepirle nel proprio cuore». Eppure, Dio ci ha portato qui oggi non solo per ricevere la nostra adorazione e mostrarci il nostro peccato, ma anche per trasformarci per mezzo del vangelo. Nella sua grazia incessante, il Signore continua a rintracciarci nella nostra ingratitudine e continuare il Suo lavoro di santificazione, portandoci al pentimento più e più volte, e rafforzando la nostra gratitudine per tutto quello che ci ha dato.

La buona notizia
La buona notizia è quando giunse la pienezza del tempo, il Signore del patto diventò il Servo del patto per fare per i peccatori ciò che non possono fare per se stessi, cioè obbedire perfettamente alla legge di Dio. Cristo – il vero Israele – ha dovuto incarnarsi, assumendo un vero corpo e una vera anima. È l’unico essere umano che non ha mai invidiato un’altra persona, l’unico che non ha mai stato scontento con la sua condizione. Anche quando è stato tentato, è rimasto obbediente al Padre, cercando in lui la sua contentezza. Per esempio, nel Giardino del Getsemani, Gesù fu tentato mentre disse: «L’anima mia è oppressa da tristezza mortale…Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice!» Eppure, Gesù si sottomise alla volontà del Padre, facendosi ubbidiente fino alla morte. Disse: «Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi». A differenza di noi, Gesù non ha mai guardato a niente più di quanto non abbia guardato a Dio per i suoi sensi di gioia, sicurezza e contentezza. Egli amò il Padre con tutto il cuore, tutta l’anima e tutta la mente. Adempì perfettamente la legge di Dio. Egli lo fece per noi!

Poi, nella sua obbedienza al Padre, andò sulla croce per pagare il prezzo dei nostri peccati, della nostra cupidigia, invidia e scontentezza. Soffrì l’indignazione di Dio contro il nostro peccato, diventando una maledizione per noi. Sulla croce, Cristo divenne il peggior idolatra e l’invidioso nella storia del mondo poiché tutta la nostra idolatria, cupidigia, invidia e scontentezza gli fu imputata. Come dice l’apostolo Paolo in Galati 3.13: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi». La sua risurrezione il terzo giorno dimostra che la sua morte è stata sufficiente a coprire tutti i peccati di chi confida in lui. Quindi, la buona notizia è che ciò che la legge richiede, Cristo provvede!  Come dice l’apostolo Paolo, «Cristo è il termine della legge, per la giustificazione di tutti coloro che credono» (Romani 10:4).

La trasformazione dell’invidia
Ma non sono tutte le buone notizie; adesso, per mezzo dello Spirito Santo, Cristo trasforma la nostra cupidigia, invidia, avidità e scontentezza in contentezza e gratitudine. A causa dello Spirito Santo, possiamo cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia. Possiamo pregare «venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo, anche in terra». Possiamo cercare le cose di lassù, dove Cristo è seduto alla destra di Dio, poiché siamo stati risuscitati con Lui e la nostra vita è nascosta con Lui! Possiamo dire con l’apostolo Paolo: «ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo. So vivere nella povertà e anche nell’abbondanza; in tutto e per tutto ho imparato a essere saziato e ad aver fame; a essere nell’abbondanza e nell’indigenza. Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica» (Filippesi 4:11-13). Restando fermi in Cristo possiamo vivere soddisfatti persino compiendo l’ordinanza di rallegrarsi con coloro che si rallegrano, anche quando la loro allegria nasce da qualcosa che anche noi desideravamo e non abbiamo ottenuto, come un impiego, il superamento di un esame o l’acquisto di una casa nuova. Poniamo davanti al Signore i nostri desideri, in nome di Gesù, ricordando sempre di chiedere che sia fatta la Sua volontà, «poiché il Padre nostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiedete» (Mt 6:8).

Questo è il segreto della contentezza, carissimi! Pensate a quello che avete in Cristo! Avete il perdono dei peccati e la promessa della vita eterna! Avete la rigenerazione, la giustificazione e, un giorno nel futuro, la glorificazione! Avete il Creatore santo come vostro Padre, che vi promesso: «Io non ti lascerò e non ti abbandonerò» (Ebrei 13:5).

Michael Brown

Rev. Michael Brown è il pastore della Chiesa Riformata Filadelfia e Ministro della Parola e dei Sacramenti dalle United Reformed Churches of North America (URCNA). È l’autore di molti articoli e diversi libri, tra cui Il vincolo sacro: Introduzione alla teologia del patto (2012), Christ and the Condition: The Covenant Theology of Samuel Petto (2012) e 2 Timothy: commentario espositivo sul Nuovo Testamento (2022).

© ligonier.org, © Chiesa Riformata Filadelfia

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