Amato dal Padre

Immagino che a molti di noi questa parabola sia abbastanza familiare. È conosciuta come “la parabola del figlio prodigo”. È una bella storia dell’amore e della misericordia di Dio Padre. In realtà, tuttavia, questa parabola potrebbe davvero essere chiamata “la parabola dei due figli”, poiché Gesù parla di due figli diversi, ognuno dei quali rappresenta un approccio sbagliato all’amore di Dio. Questa parabola è molto importante per tutti noi poiché la maggior parte di noi tende verso uno di questi due approcci sbagliati. Da un lato, alcuni di noi hanno la tendenza a dubitare dell’amore del Padre. Quando guardiamo a noi stessi, ai nostri fallimenti e alle nostre colpe, sembra impossibile che il Padre possa amarci. Perciò, diventiamo dubbiosi dell’amore di Dio. D’altra parte, alcuni di noi hanno la tendenza a presumere che il Padre ci ami perché siamo fedeli e cerchiamo sempre di fare la cosa giusta.

Però, tutte e due di questi approcci al Padre non riescono a capire cosa significhi essere figli di Dio. Entrambi gli approcci cercano di basare l’amore del Padre sulla nostra bravura. Quindi, questa parabola ci aiuta a comprendere meglio l’amore del Padre per i suoi figli.

Il contesto è trovato nei vv.1-2. I farisei e gli scribi erano offesi che Gesù mangiava con i pubblicani e i peccatori, qualcosa che nessun rabbino avrebbe fatto a quei tempi. “Peccatori” era una parola usata a quei tempi per indicare persone immorali con una cattiva reputazione nella società: i ladri, gli ubriaconi, le prostitute e i pubblicani. Erano considerati la feccia della terra. La gente li considerava scarafaggi o topi di fogna.

Eppure, Gesù, questo rabbino rispettato, andò lì a mangiare con loro. La gente era scandalizzata. Quindi, Gesù raccontò questa parabola ai farisei e agli scribi. Nella parabola, Gesù parlava di tre persone: 1) un figlio perso; 2) un padre amorevole; 3) un fratello ipocrita.

UN FIGLIO PERSO
Il figlio minore voleva andarsene di casa. Questo ragazzo era stufo di vivere con la sua famiglia. Trovava la vita nella casa di suo padre noiosa e fastidiosa. Voleva la libertà – la libertà di fare ciò che voleva, quando voleva e con chi voleva. Quindi, voleva allontanarsi da suo padre, dalla sua famiglia e dalla comunità di fede. Però, questo ragazzo non aveva un lavoro né i mezzi per vivere come voleva. Perciò, ha fatto qualcosa che sarebbe considerato molto scortese e arrogante in quasi tutte le società, specialmente nella cultura ebraica; ha chiesto la sua eredità mentre suo padre era ancora in vita. In questo modo, ha dimostrato di non avere davvero amore per il padre. In sostanza, diceva al padre: “Vorrei che tu fossi morto in modo da poter ottenere ciò che voglio”.

“Nel nostro peccato e ribellione, vogliamo scappare da Dio. Vogliamo la nostra autonomia. Vogliamo vivere in un paese lontano”.

Il padre, tuttavia, ha diviso fra i figli i beni, e il figlio minore ha preso i suoi ed è partito per «un paese lontano». Era lontano non solo in senso geografico, ma anche in senso spirituale. In altre parole, il cuore del figlio era molto lontano dal padre e dalla comunità di fede. Questo rappresenta il peccatore che vuole autonomia da Dio. La Bibbia dice: «Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via» (Isaia 53:8). Nel nostro peccato e ribellione, vogliamo scappare da Dio. Vogliamo la nostra autonomia. Vogliamo vivere in un paese lontano.

Era proprio qui, dice Gesù in v.13, che il figlio minore ha sperperato i suoi beni. La parola sperperare vuole dire sprecare e dissipare. Immaginate un giovane che getta i soldi al vento. Compra i vestiti più costosi. Guida una macchina elegante. Va sempre in giro con gli amici, nelle discoteche, nei ristoranti, alle grandi feste. E vive una vita immorale, una vita di vizi e piaceri, senza freni e regole. Tutta la sua vita era una festa, fino a quando i soldi non sono finiti. Ma proprio quando i suoi soldi erano finiti, ci fu una crisi economica nel paese! «In quel paese venne una gran carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno» (v.14). Improvvisamente, il ragazzo si dispera. L’unico lavoro che riesce a trovare è quello di pascolare i maiali.

Il punto di Gesù qui non è solo che questo lavoro era un lavoro scadente, ma, più importante, era un lavoro che gli ebrei non avrebbero mai considerato accettabile. Secondo la legge mosaica, i maiali erano animali cerimonialmente impuri. Quindi, il punto di Gesù è che questo figlio era caduto molto lontano da dove era una volta. Ogni vincolo con la casa di suo padre era stato interrotto. Questo figlio era completamente alienato, impuro e perso.

In realtà, Gesù stava descrivendo i pubblicani e i peccatori con i quali mangiava. Loro erano alienati, impuri, smarriti e bisognosi di misericordia. Avevano bisogno di redenzione. Avevano bisogno di misericordia. Erano in un paese lontano, per così dire, e avevano bisogno di tornare a casa. Ma è così per ogni peccatore. A parte Cristo, siamo tutti persi nel nostro peccato. Non devi essere un pubblicano, un criminale o una prostituta per essere perso. Perdersi significa essere ribelli al Padre, perché non ami il Padre. Come il figlio prodigo in questa parabola, perdersi significa esigere cose da Dio senza desiderare Dio stesso. Significa volere i suoi doni senza amarlo come il Donatore. A parte Cristo, siamo tutti persi, alienati, impuri e senza speranza. Non siamo migliori dei pubblicani e dei peccatori. Abbiamo bisogno di un Padre amorevole al quale possiamo tornare, uno che avrà pietà di noi.

UN PADRE AMOREVOLE
Mentre il ragazzo stava morendo di fame, iniziò a ricordare la casa del padre. Ricordava che suo padre aveva provveduto alle sue necessità. Ricordava di essere stato amato, curato e tenuto al sicuro a casa. Improvvisamente, la casa del padre non era un posto che il figlio disprezzava. Improvvisamente, era casa sua. Però, sapeva di aver peccato così tanto. Aveva disonorato suo padre. Adesso si vergognava di quello che aveva fatto. Cominciò a vedere quanto fosse stato arrogante e sciocco. Si rese conto che ciò che aveva fatto era malvagio. Voleva tanto tornare a casa, ma come avrebbe affrontato suo padre? Cosa avrebbe detto? C’era solo un modo giusto: in umiltà e pentimento. Il figlio perso disse: «Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi”».

Questo non era un piano di manipolazione. Anzi, era una confessione onesta da un cuore pentito. Notate che il figlio dice: «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te». Quando siamo veramente pentiti, ci rendiamo conto che non solo abbiamo causato dolore agli altri, ma abbiamo peccato contro il santo Dio.

“La tristezza del pentimento è una buona cosa, poiché produce in noi il desiderio di confessare il nostro peccato e cambiare il nostro comportamento”.

La Bibbia chiama il vero pentimento “la tristezza secondo Dio”. L’apostolo Paolo dice in 2 Corinzi che «la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c’è mai da rimpianto». In altre parole, la tristezza del pentimento è una buona cosa, poiché produce in noi il desiderio di confessare il nostro peccato e cambiare il nostro comportamento. Questo è ciò che è successo nel cuore del figlio prodigo. Quindi, lui ha fatto il lungo viaggio verso casa, che rappresenta il pentimento del ragazzo. Ma, come il v.20 ci dice, mentre lui era ancora lontano, «suo padre lo vide e ne ebbe compassione».

Che sorpresa! Ci aspettiamo che il padre sia arrabbiato con suo figlio, o almeno scettico. Ci aspettiamo che dica: “Come hai potuto disonorare il mio nome? Cosa vuoi adesso, più soldi?” Questo avrebbe senso. Potremmo capire una tale reazione da parte del padre, poiché sarebbe una risposta della legge. E noi comprendiamo la legge. La legge dice: “Ottieni ciò che meriti”. Ma la grazia è completamente diversa. La grazia è contro-intuitiva. Grazia significa ricevere un buon dono che non merito. Questo è ciò che il figlio prodigo ha ricevuto dal padre. Il v.20 afferma: «suo padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò».

Il figlio ha poi iniziato la sua confessione: «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio» (v.20). Ma il padre ha risposto con misericordia e grazia, non legge. Ha detto ai suoi servi: «Presto, portate qui la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a festeggiare.

Qual è il punto? Il padre in questa parabola rappresenta il nostro Padre celeste. Ed è così che Egli tratta i suoi figli e le sue figlie quando si pentono. Il punto non è che possiamo vivere come vogliamo perché Dio ci ama comunque. Anzi, non esiste il perdono senza il pentimento. Ma c’è una buona notizia: «se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità» (1 Giovanni 1:9) Senza il pentimento, c’è solo la legge di Dio. Ma con il pentimento, c’è sempre la misericordia e la grazia. «Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante», dice Isaia (42:3).

Però, spesso è proprio questo che troviamo difficile da credere. Vi ripeto: quando guardiamo a noi stessi, ai nostri fallimenti e alle nostre colpe, sembra impossibile che il Padre possa perdonarci e amarci come suoi figli. A volte, pensiamo che se diventiamo suoi servi, allora Dio ci amerà. Però, non possiamo guadagnare il suo favore diventando suoi servi (come pensava di poter fare il figlio prodigo); invece, Dio ci dona liberamente il suo favore. Dio fa per i suoi figli ciò che essi non possono fare per se stessi: li riveste della giustizia di Cristo e li ristaura al loro posto nella famiglia. QUESTO è l’amore del Padre per tutti coloro che si avvicinano a lui e si pentono.

UN FRATELLO RILUTTANTE IPOCRITA
Purtroppo, il figlio maggiore non ha avuto la stessa reazione del padre quando il fratello minore è tornato a casa. Invece di correre ad abbracciare il fratello, ha brontolato e non ha voluto unirsi alla festa. Non riusciva a capire perché suo padre mostrasse tanta gentilezza e compassione per suo fratello minore. Si sentiva così perché non comprendeva la misericordia e la grazia.

“In realtà ci sono DUE figli perduti in questa parabola, non uno”.

Guardate, anche lui era perso. In realtà ci sono DUE figli perduti in questa parabola, non uno. Uno di loro pensava che potesse riconquistare il favore di suo padre diventando il suo servitore. L’altro figlio, tuttavia, pensava che avesse guadagnato il favore del padre, lavorando per lui per tanti anni. Ma in realtà, tutte e due erano persi. In effetti, il fratello maggiore era effettivamente più lontano da casa del fratello minore. Mi spiego. Il fratello maggiore era ipocrita. Lui era orgoglioso dei propri successi e del suo lavoro e credeva di meritare l’amore e l’apprezzamento di suo padre. Ecco perché era così confuso e arrabbiato quando suo padre ha mostrato compassione per il figlio minore.

Ma questo mostra che, in realtà, il fratello maggiore non amava veramente il padre e il fratello. Ciò che amava era se stesso e la propria reputazione. Mentre l’idolo del fratello minore era l’intrattenimento e aveva lasciato la casa per servire quell’idolo in una vita sconsiderata, l’idolo del fratello maggiore era il suo lavoro duro per il padre. Invece di rallegrarsi con il padre perché il fratello era tornato a casa, il fratello maggiore chiese di essere riconosciuto per il suo lavoro. In un certo senso, disse al padre: “Paga quello che devi!” Per lui, lavorare per il padre era come una schiavitù. Se avesse davvero amato suo fratello, si sarebbe unito alla celebrazione. In effetti, se avesse veramente amato suo fratello e lo avesse preso a cuore, sarebbe andato a cercarlo nel paese lontano, come un pastore cerca una pecora smarrita. Se avesse amato suo fratello, non avrebbe rinunciato a lui.

Il fratello maggiore rappresenta i farisei e gli scribi, a cui Gesù disse questa parabola. I farisei non vedevano i pubblicani e i peccatori come persone bisognose di misericordia e di salvezza. Avrebbero dovuto gioire e non brontolare quando tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a Gesù.

Questo è un messaggio che abbiamo bisogno di sentire, perché il fatto è che a volte pensiamo come i farisei. Vediamo i peccatori in questo mondo e ci manca la compassione. Guardiamo la gente e trattiamo le persone come se noi fossimo più meritevoli del favore di Dio. Ma non è vero. «Infatti è per grazia che siete stati salvati…è il dono di Dio. Non è in virtù di opere, affinché nessuno se ne vanti» (Efesini 2:8-9). Dobbiamo ricordarlo, per non essere colpevoli dello stesso senso di auto-giustizia dei farisei. Siamo salvati solo a causa del vero Fratello maggiore, cioè Gesù Cristo, Colui che è venuto a cercare e salvare i perduti. È solo a Cristo che il Padre può veramente dire: “Figlio mio, ogni cosa mia è tua”. Eppure, il Figlio di Dio si è fatto Servo affinché anche noi potessimo diventare figli e figlie di Dio e ricevere un’eredità. Dio Padre, che è pieno di compassione, ha dato il suo unigenito Figlio per salvarci quando eravamo in un paese lontano. Come la lettera agli Ebrei dice: «[Cristo] doveva diventare simile ai suoi fratelli in ogni cosa… per compiere l’espiazione dei peccati del popolo» (Ebrei 2:17)

“Il nostro Fratello maggiore ci ama così tanto che si è preso la nostra colpa ed è stato punito al nostro posto sulla croce. Ci ha cercato, ci ha trovato e ci ha riportato a casa”.

Il nostro Fratello maggiore ci ama così tanto che si è preso la nostra colpa ed è stato punito al nostro posto sulla croce. Ci ha cercato, ci ha trovato e ci ha riportato a casa. Non ci ha lasciato nel porcile del nostro peccato per affrontare il giudizio che meritavamo. Invece ha avuto pietà di noi e ci ha salvato attraverso la sua vita, morte e risurrezione. E in cambio, il nostro Fratello maggiore ci dona la sua veste, cioè, la sua giustizia, affinché tornando a casa dal Padre, siamo accettati! Quindi, non aver paura di ritornare al Padre più e più volte.

Sei un figlio prodigo, lontano dalla casa del Padre? Trovi difficile credere che il Padre ti ama a causa dei tuoi fallimenti e della tua colpa? Oppure sei un fariseo che disprezza gli altri come sporchi peccatori ma si considera una persona buona e onesta che merita il favore di Dio più di loro? Ascolta le parole di Gesù in questa parabola: il Padre ti chiama a pentirti e a tornare a casa con la fede di un bambino. Ti chiama a venire alla festa e a gioire! Oggi il Padre chiama tutti noi a casa: prodighi e farisei! Ci chiama a causa di suo Figlio, che non si vergogna di chiamarci fratelli e sorelle. Amen.

Questa sermone è stato predicato dal pastore Mike Brown in Chiesa Riformata Filadelfia a Novate Milanese

Michael Brown

Rev. Michael Brown è il pastore della Chiesa Riformata Filadelfia e Ministro della Parola e dei Sacramenti dalle United Reformed Churches of North America (URCNA). È l’autore di molti articoli e diversi libri, tra cui Il vincolo sacro: Introduzione alla teologia del patto (2012), Christ and the Condition: The Covenant Theology of Samuel Petto (2012) e 2 Timothy: commentario espositivo sul Nuovo Testamento (2022).

© ligonier.org, © Chiesa Riformata Filadelfia

Il presente articolo può essere utilizzato solo facendone previa richiesta a Chiesa Riformata Filadelfia. Non può essere venduto e non si può alterare il suo contenuto.

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